In un clima di guerra totale, dall’escalation dello scontro tra Israele e Iran che coinvolge Libano, Gaza e Cisgiordania, alla guerra tra Ucraina e Russia, ai conflitti dimenticati in Asia e Africa, oggi 2 ottobre si celebra la Giornata Internazionale della nonviolenza. Fu istituita nel 2007 dalle Nazioni Unite che scelsero il giorno della nascita di Gandhi, simbolo mondiale per eccellenza della resistenza nonviolenta. Una pratica che oggi appare minoritaria a livello della volontà dei governi coinvolti direttamente e indirettamente nei conflitti in corso, mentre a prevalere sempre di più è una sorta di scriteriata e irresponsabile “voglia di guerra”. Con la via diplomatica per la risoluzione delle controversie che appare sbiadire sullo sfondo dei teatri di guerra, sollecitata da una Onu che però ci appare sempre meno in grado di riportare la pace là dove dominano la violenza e la distruzione delle guerre.
Ha dunque senso, in questo contesto, celebrare la Giornata della Nonviolenza? O è solo un atto velleitario, fine a se stesso? Non lo penso: non possiamo rinunciare a rilanciare il messaggio della nonviolenza contro il mainstream delle armi e della violenza. Oggi più che mai, anche in Italia.
Solo pochi giorni fa anch’io ho manifestato contro il Disegno di Legge sulla sicurezza, voluto dalla maggioranza Meloni, che criminalizza le proteste: prima con l’adesione all’allegra e pacifica manifestazione indetta da movimenti e associazioni, che mi ha visto sfilare dietro allo striscione di Amnesty International che ben sintetizzava il senso della mobilitazione non violenta: “Proteggo la protesta”. Poi, dopo qualche giorno, unendomi alla protesta contro il Ddl indetta dai sindacati Cgil e Uil, preoccupati dal restringimento degli spazi democratici di espressione del dissenso di lavoratrici e lavoratori.
Il Ddl, già approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato, trasforma reati amministrativi, come l’occupazione di una strada nel corso di una protesta, finora punibili con ammende, in reati penali da punire con il carcere. Ve li immaginate gli operari, che nel corso degli anni hanno protestato per difendere il posto di lavoro anche occupando strade e binari, finire in galera per questo? Certamente le occupazioni provocano disagi. Ma sono lo strumento per far sentire la propria voce. La sicurezza dei cittadini quindi non c’entra niente con il Ddl. C’entra invece la volontà di criminalizzare le proteste di studenti, operai, ambientalisti. Ecco perché oggi più che mai c’è un grande bisogno di ghandismo, di celebrarlo e non di reprimerlo.
Per questo solidarizzo con il movimento nonviolento impegnato nella campagna di Obiezione alla guerra a sostegno degli obiettori di coscienza e di chi rifiuta la leva obbligatoria, come le centinaia di migliaia di giovani in Russia e Ucraina che si sono resi irreperibili per sfuggire alla mobilitazione militare, rischiando e subendo processi e carcere. Anche in Israele e Palestina cresce sempre di più il numero di giovani che rifiutano le armi e la violenza e insieme attuano progetti di pace e dialogo. Ma degli obiettori alla guerra non si parla sui media. Il “Volantone della Campagna del Movimento Nonviolento” contiene invece molte informazioni sul lavoro di supporto ai movimenti nonviolenti in Ucraina, Russia, Bielorussia, Israele e Palestina, e può essere usato come poster per informare su obiettivi e modalità di sostegno alla Campagna. In molte città oggi il Movimento nonviolento organizza eventi e banchetti per raccogliere firme e donazioni. Un modo concreto, questo, per dare un senso alla Giornata internazionale della nonviolenza, e ai giorni che seguiranno.
Perché se, come ha detto Gandhi, la nonviolenza è la più grande forza a disposizione dell’umanità, sarà da chi la pratica che potrà venire la speranza di fermare i massacri in corso.
Per vedere gli atti a favore di pace e disarmo che ho presentato come Capogruppo di Europa Verde-AVS nell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna cliccare su questo link.