Messaggio forte e chiaro: a distanza di 24 anni dal referendum del 1987, la schiacciante maggioranza dei bolognesi (e degli emiliano-romagnoli, che hanno fatto da traino nazionale) ha ribadito il “no” al nucleare. Del resto, quanto fosse obsoleto il dibattito “ritorno al nucleare sì, ritorno al nucleare no” delle ultime settimane, l’avevano evidenziato il governo svizzero e la cancelliera tedesca Angela Merkel con la decisione di chiudere le centrali atomiche, che alla Germania assicurano oggi il 22% del fabbisogno elettrico.
Voto emotivo? Tutt’altro: scelta razionale, che tiene conto sia dei costi e dei tempi di realizzazione degli impianti nucleari, sia delle alternative tecnologiche già disponibili, sia degli obblighi europei del pacchetto clima-energia (meno 20% di emissioni di anidride carbonica, più 20 % di usi finali di energia coperti da rinnovabili, più 20% di efficienza energetica al 2020), oltre che delle devastanti conseguenze degli incidenti alle centrali atomiche. Per superare la dipendenza energetica dall’estero e restare competitiva sui mercati, ora l’Italia non può perdere il treno dell’innovazione e della transizione graduale ad un modello energetico a basso contenuto di carbonio, basato sulle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica per ridurre i consumi. Occorre puntare sull’economia verde.
Il solo settore del fotovoltaico nel 2010 è accreditato di aver prodotto un fatturato di 14 miliardi di euro, con 15mila dipendenti diretti e 45mila indiretti. Il Piano straordinario sull’efficienza energetica (PSEE) di Confindustria propone investimenti per 130 miliardi di euro in dieci anni, in grado di creare, al 2020, 1.635.000 nuovi occupati.
Le politiche a sostegno dell’economia verde passano dalle città, dove si addensano popolazione e attività produttive e del terziario, e quindi si consumano risorse: si riscaldano e si raffrescano case e uffici, si illuminano strade, ci si sposta. Al traffico urbano si deve (stando al Libro Verde della UE) il 40% delle emissioni di anidride carbonica e il 70% delle altre emissioni prodotte dagli autoveicoli. Il raggiungimento dei, vincolanti, obiettivi europei (“20,20,20”) dipende quindi fortemente dalle città, Bologna compresa, che ha sottoscritto il Patto dei Sindaci, impegnandosi ad andare oltre il target del meno 20% di emissioni di anidride carbonica. D’altra parte, alimentare l’economia verde nei contesti urbani ne migliora la qualità ambientale. Gli acquisti delle pubbliche amministrazioni, pari al 18% del Pil europeo, se convertiti ai criteri ambientali già in parte fissati dalla legislazione nazionale, possono rappresentare un volano formidabile per la riconversione ecologica di sistemi produttivi e beni di consumo.
Nel documento “Economia Verde” a firma di Leonardo Setti e mia, presentato da Laboratorio Urbano (www. laboratoriourbano. info) si parla di tutto questo e di cambiamento di stili di vita, di piani regolatori per le rinnovabili, dell’indispensabile coinvolgimento dei cittadini in percorsi partecipativi di quartiere per promuovere comunità solari locali, di una Grenelle dell’ambiente (su modello francese) a livello regionale coinvolgendo imprese, consumatori, banche, istituzioni. È in questa direzione che si muove l’Europa.