Pubblico di seguito l’intervista che mi ha fatto Paola Fraschini per il sito e la newsletter di Edizioni Ambiente in occasione dell’uscita del mio libro “Un’altra Europa. Sostenibile, democratica, paritaria, solidale”
http://www.edizioniambiente.it/news/81/un-altra-europa-e-possibile-intervista-a-silvia-z/

Un’altra Europa è possibile? Intervista a Silvia Zamboni

In vista delle prossime elezioni e oltre, Silvia Zamboni, curatrice del volume Un’altra Europa, è riuscita a raccogliere le voci più autorevoli sul tema del futuro dell’Europa, materiale su cui riflettere, e ci offre una nuova prospettiva in cui rilanciare l’obiettivo di un’Europa diversa: sostenibile, democratica, paritaria, inclusiva, solidale, fuori dalla crisi economica, sociale e generazionale. Parliamone con lei.

Cos’è l’Europa di oggi e cosa potrebbe essere quella di domani?

L’Europa dei 28 Stati membri dell’Unione europea da un punto di vista storico potremmo definirla, oggi, la prima fase della materializzazione del sogno degli Stati Uniti d’Europa che Altiero Spinelli, come scrivo nella mia introduzione, cominciò a tessere nelle patrie galere fasciste mentre divampava il secondo conflitto mondiale. Prima fase perché aver creato, per esempio, la comunità dell’euro, che circola in 18 paesi della Ue, senza aver realizzato un’autentica unione monetaria e politica che la governi è all’origine degli odierni squilibri che vedono gli interessi nazionali dentro quest’area confliggere con la necessità dell’armonizzazione. Al punto che si è innescata anche una sorta di competizione interna tra i paesi membri per contendersi le imprese a suon di agevolazioni fiscali.

Sulle misure da intraprendere per superare la crisi dell’eurozona nel libro Un’altra Europa si concentrano in particolare i contributi di Jean-Paul Fitoussi, di Jürgen Habermas e di Joseph Stglitz. Mentre nella mia introduzione ricordo che il padre della moneta unica europea ed ex presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995 Jacques Delors, a crisi dell’euro ormai conclamata accusò i leader politici europei di avere fatto “troppo poco, troppo tardi” per dare sostegno all’eurozona.

Sul da farsi futuro sul piano istituzionale e politico, Jurgen Habemas parla, letteralmente, di transnazionalizzare la democrazia. Un concetto ripreso da Pier Virgilio Dastoli, già assistente di Spinelli all’europarlamento, che nel suo contributo sostiene che occorre intraprendere la via dell’unificazione a livello federale delle funzioni della moneta e delle politiche fiscali nazionali, con effetti realmente redistributivi e di stabilizzazione. Un’unificazione, osserva, che sarà accettabile solo se accompagnata dal rafforzamento della dimensione democratica sovranazionale. “Per quanto sia opportuno che la scelta del presidente della Commissione avvenga sulla base di una esplicitata dinamica elettorale”, scrive, ”la sostanza reale del problema ruota intorno agli effettivi poteri della Commissione che non è ancora il governo dell’Unione ma, soprattutto, intorno alla sua nomina che non dipende solo dal Parlamento europeo ma in primo luogo dai Capi di Stato e di governo”.

Resta quindi ancora molto lavoro da fare per arrivare ad un’effettiva comunità integrata. Ma non sottovalutiamo che, sul piano del riconoscimento dei diritti della persona, la Carta di Nizza è un documento straordinario. E che in materia di parità di genere, la Ue, introducendo norme vincolanti per tutti gli Stati membri, ha fatto compiere enormi passi in avanti alle donne. “Le europee oggi stanno decisamente meglio. Le donne si sono assicurate più diritti alla parità di quanto i ‘padri fondatori’ dell’Unione europea potessero anche solo immaginare!”, scrivono nel loro contributo Joyce Mushaben e Gabriele Abels.

E’ opportuno per l’Italia uscire dall’euro, come sostengono alcune forze politiche?

A mio modesto parere è una proposta priva di senso. E trovo abbastanza fuorviante per l’opinione pubblica che se ne parli con un tipico atteggiamento da tifo calcistico, senza approfondire veramente cosa significherebbe per il nostro paese. Rimpiangere la nostra vecchia lira e la perduta possibilità di svalutare la moneta nazionale non tiene conto del fatto che la cosiddetta “svalutazione competitiva” toglierebbe credibilità all’economia nazionale e alla solvibilità dell’Italia, strangolata nella spirale crescente del debito pubblico, che oggi supera i 2.200 miliardi di euro. Inoltre, per il nostro paese che deve procurarsi l’energia primaria sui mercati internazionali dove si paga in dollari, la svalutazione sarebbe una sciagura: i picchi di aumento del costo del greggio in questi anni li abbiamo compensati proprio grazie al cambio euro-dollaro favorevole alla moneta europea. Lo stesso Centro Studi di Confindustria, in una nota diffusa a luglio 2012, ha spiegato perché sarebbe un disastro uscire dall’euro e tornare alla lira per poterla svalutare nell’illusione di essere più competitivi sui mercati. E se lo dice l’associazione degli imprenditori alle prese ogni giorno con i mercati nazionali ed internazionali direi che c’è da crederci.

L’Europa è quella delle direttive orientate alla green economy o è invece soprattutto un campione in materia di spese militari?

Con l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto che l’Europa, al contrario di Usa e Cina, ha sottoscritto, e con il cosiddetto pacchetto “Clima-energia 20,20,20”, che fissa per gli Stati membri della Ue obiettivi vincolanti in materia di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di impiego delle fonti rinnovabili per la produzione di elettricità, il Vecchio Continente si è posto alla testa della transizione verso un’economia low-carbon, rispondendo a una necessità dettata dalla crisi climatica e da quella energetica. Basti pensare, scrive Gianni Silvestrini nel suo contributo al libro Un’altra Europa, che “le rinnovabili, che al 2005 coprivano l’8,5% dei consumi finali, nel 2012 sono passate al 14,4%, con la previsione di superare agevolmente l’obiettivo dell’Unione europea del 20% al 2020”. In particolare gli impianti alimentati da fonti rinnovabili hanno rappresentato il 55% della nuova potenza installata in Europa tra il 2000 e il 2013, quota che lo scorso anno è salita al 72%. Purtroppo nel primo trimestre del 2014, al momento di fissare gli obiettivi per la fine del prossimo decennio, abbiamo assistito a un preoccupante braccio di ferro tra la Commissione, che ha proposto per le rinnovabili la quota del 27%, e il Parlamento europeo a favore invece del 30%. Vedremo come andrà a finire. Secondo Monica Frassoni, questo quinquennio di Commissione presieduta da Manuel Barroso è da dimenticare. L’enorme potenziale di un Green New Deal è ancora largamente sottovalutato, scrive nel suo contributo, a causa di “settori politici e interessi economici e finanziari estremamente influenti” che remano efficacemente in direzione contraria.

Per rispondere alla seconda parte della domanda, non esiste una politica di difesa comune della Ue, che potrebbe essere d’aiuto per razionalizzare, quindi tagliare, l’ingente spesa militare nei singoli paesi. Sgomentano, poi, casi-limite come quello della vendita di sottomarini nucleari tedeschi alla Grecia quale condizione per l’erogazione di prestiti anti-crisi.

Anche per la politica estera si continua procedere in ordine sparso nella Ue. La strada da percorrere sarebbe quella di prevenire e governare i conflitti con l’azione diplomatica e politiche di sviluppo locali, anche in funzione del controllo dei movimenti di migranti dall’Africa, riducendo gli arsenali e le spese militari a favore della spesa sociale (sanitaria, previdenziale, culturale, educativa e ambientale), e convertendo la produzione militare in produzione per usi civili.

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Silvia Zamboni

Giornalista – Ambiente e Sostenibilità, Energia e Cambiamenti Climatici, Economia Circolare, Green Economy, Sharing e Digital Economy, Mobilità Sostenibile, Turismo Sostenibile, Agricoltura e Manifattura Biologica, Politiche Ambientali Europee.