Colpita con un manganello dalle forze di “sicurezza” durante le proteste di venerdì scorso, è morta #Nasrin Ghadri, una dottoranda di 35 anni che studiava filosofia a #Teheran. Il suo nome si aggiunge alla già lunga lista di giovani – non più solo donne – vittime della violenta repressione del regime degli ayatollah alle prese con una coraggiosa rivolta che attraversa ormai l’intero paese. Pochi giorni prima era stata uccisa a bastonate, davanti ai compagni e alle compagne di classe, #Parmis Hamnava, di soli 14 anni, “colpevole” di aver stracciato una foto di Komeini che la polizia aveva trovato tra le pagine di un suo libro durante una perquisizione. E prima ancora avevano perso la vita #Kumar Daroftateh, 16 anni, ucciso da un colpo sparato a distanza ravvicinata durante una manifestazione di protesta nella città di Piranshahr. E #Sarina Saedi, anche lei sedicenne, morta nella città di Sanandaj, nel sud dell’Iran.
Anche per Nasrin si è ripetuto il tragico copione per “giustificarne” la morte: le autorità iraniane negano che sia deceduta per le violenze subite e attribuiscono il decesso a cause naturali, e hanno costretto i parenti ad annunciare che il decesso era legato a una “malattia” o un’ “intossicazione”. La stessa “spiegazione” ufficiale era stata utilizzata in seguito alla morte di #Mahsa Amini, la ventiduenne curda morta a settembre per le percosse subite da parte della polizia morale perchè non portava correttamente il velo. E’ stata la sua uccisione a innescare questa ondata di proteste che non ha precedenti nella storia del regime in carica dal 1979. Dopo le prime manifestazioni nelle città del #Kurdistan iraniano di decine e decine di coraggiosissime donne che protestavano contro l’obbligo del velo, ma non solo, si sono via via uniti anche gli uomini, coinvolgendo oltre 190 città e tutte le 31 provincie della #Repubblica islamica iraniana.
Proteste coraggiose che trovano un’eco nelle altrettanto coraggiose donne afghane, dall’agosto del 2021 ritornate sotto l’oppressione del regime dei talebani. In #Afghanistan le manifestazioni sono per ora di dimensioni notevolmente inferiori e hanno incluso principalmente donne della minoranza sciita hazara, ma proseguono a ritmo sostenuto da diverse settimane, e vedono anche la partecipazione degli studenti universitari. Iniziate dopo un attacco suicida del 30 settembre contro un centro educativo a #Kabul in cui sono state uccise 53 ragazze di etnia hazara, le proteste sono estese anche alle provincie di Herat, Bamiyan, Daikundi, Balkh, Panjshir e Kapisa. E’ davvero ammirevole, nella sua tragicità, la forza di queste giovani donne che lottano per il diritto allo studio sfidando il regime dei talebani.
Non posso quindi che esprimere nuovamente #solidarietà e #stima nei confronti di persone che lottano con determinazione per la propria libertà e i propri diritti pur consapevoli dei rischi che corrono per l’incolumità personale e di quella delle proprie famiglie.
Le violenze che subiscono, fino a perdere la vita, sono semplicemente inaccettabili, una palesa violazione dei basilari diritti umani e civili, tanto più che si tratta di proteste pacifiche, al contrario della dura repressione con cui le polizie in entrambi i Paesi le affrontano. E’ sempre più urgente che l’#Italia prenda parola #formalmente per condannarle.