“Bisogna che l’economia circolare parta col piede giusto. Oggi se ne parla sempre di più: il punto è praticarla nel modo corretto”.
È preoccupata Kate Raworth, brillante economista che insegna management ambientale all’università di Oxford.
Nel suo ultimo libro L’economia della ciambella (Edizioni Ambiente, 2017), Raworth traccia i confini di un’economia circolare all’insegna non solo della sostenibilità ambientale, ma anche della giustizia sociale.
Nella metafora della ciambella, il buco rappresenta la fetta di umanità deprivata dei diritti basilari per condurre un’esistenza degna; la ciambella sta per l’umanità che vive in condizioni di equità e sicurezza esistenziale; infine, lo spazio all’esterno disegna i limiti ecologici che non vanno superati, pena i cambiamenti climatici, l’acidificazione degli oceani, la perdita di biodiversità, il consumo fuori controllo di suolo vergine, e altro ancora.
Per portare tutta l’umanità nella ciambella senza debordare nella zona dei limiti ecologici, Raworth fissa alcuni obiettivi-base:
superare l’indicatore Pil, che non garantisce tutta l’umanità, e passare a un’economia alimentata dall’energia solare e integrata con la natura e la società. Coltivare la natura umana, superando lo stereotipo dell’homo homini lupus e passare a un’economia più ridistributiva del valore che genera.
Infine, progettare e produrre in maniera rigenerativa, non distruttiva, e abbandonare il must della crescita, perché c’è bisogno di un’economia che faccia prosperare l’umanità, scrive, indipendentemente dal fatto che cresca in termini quantitativi.
Di tutto questo si parla nell’intervista che ho fatto a Kate Raworth uscita su La nuova ecologia
http://lanuovaecologia.it/leconomia-circolare-deve-generosa-verso-lambiente-la-s