Il coraggio di opporsi a regimi oppressivi.
È quello delle migliaia di persone che ieri hanno partecipato al funerale di Alexei Navalny a Mosca, incuranti del divieto a farlo e della massiccia presenza intimidatoria delle forze dell’ordine.
È il coraggio di chi in Iran, sempre ieri, ha disertato le urne mandando un messaggio chiaro al regime degli Ayatollah.
È quello delle mogli dei soldati russi mandati al fronte in Ucraina che hanno portato la protesta contro la guerra sotto al Cremlino.
A novembre erano state mogli di soldati ucraini a protestare pubblicamente per chiedere il ritorno dei mariti.
Storie apparentemente diverse tra loro, che hanno un filo conduttore: la richiesta di libertà e democrazia, l’opposizione a regimi autocratici e repressivi, il rifiuto di vedere morire i propri cari in guerra.
In Iran, stando alle prime informazioni indipendenti, solo il 41% degli aventi diritto avrebbe partecipato alle elezioni per il rinnovo del parlamento. A Teheran meno del 20%. Gli attivisti iraniani stimano addirittura un 30% complessivo e un 15% nella capitale. È la percentuale più bassa mai registrata in Iran dalla cacciata dello Shah. A prescindere dai numeri definitivi, il messaggio è forte e chiaro: la popolazione iraniana ha risposto “no” all’appello della guida suprema, Ali Khamenei, di andare a votare in massa per “deludere i nemici”. Un appello reiterato di fronte al deserto di votanti e, stando a notizie di stampa, accompagnato dal rinvio della chiusura dei seggi. A restare deluso, quindi, sarà rimasto il regime iraniano.
Soddisfatti invece gli oppositori, che avevano invitato a boicottare le urne come risposta alla repressione delle manifestazioni dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne che ha perso la vita in carcere dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non portava correttamente il velo. Ricordiamo tutti la coraggiosa protesta pubblica del taglio di capelli da parte delle ragazze iraniane, sostenute nelle piazze dalla presenza di cittadini giovani e meno giovani. Ci vuole davvero coraggio per ribellarsi pubblicamente in Iran, basti pensare al Premio Nobel per la Pace 2023 assegnato all’iraniana Narges Mohamed, che non l’ha potuto ritirare a Stoccolma perché si trova in carcere proprio a causa in Iran per il suo impegno a favore del rispetto dei diritti umani e della libertà per tutti.
Donne protagoniste anche in Russia: sono le mogli dei soldati che hanno inscenato una contestazione a Putin per la guerra in Ucraina. Una protesta che fa il paio con quella delle mogli dei soldati ucraini inviati al fronte: a più riprese sono scese nelle piazze delle principali città per chiedere la fine della guerra e la “Way home” (il ritorno a casa), diventato il nome del loro movimento.
Dalla Russia arrivano anche le immagini impressionanti delle migliaia di persone scese in piazza per i funerali di Navalny. Messaggio chiaro allo zar Putin: repressione, arresti, reparti speciali e violenze non li fermeranno. Il loro grido è un programma: “La Russia sarà libera”.
Sta anche a noi in Italia non lasciare isolate queste voci che reclamano libertà e democrazia. Non voltiamoci dall’altra parte. Governo e Parlamento sostengano chi chiede il rispetto dei diritti umani e uniscano la propria voce istituzionale a chi chiede indagini da parte di autorità indipendenti per contrastare la violenza e i soprusi dei regimi autoritari.