Ci risiamo. Dopo l’alluvione, ora anche le crisi aziendali e i licenziamenti sono colpa di Verdi e ambientalisti. Ma non è colpa nostra se, mentre indichiamo la luna dell’emergenza climatica, i cretini continuano a guardare al dito.
Ieri l’annuncio della chiusura della Marelli di Crevalcore (BO) è stato l’ennesimo pretesto utilizzato dalle destre per mettere sul banco degli imputati il pensiero green, ritenuto causa ormai di ogni male. Un’accusa vergognosa e fuori luogo.
I 230 lavoratori e lavoratrici della Marelli minacciati di rimanere senza lavoro sono vittime non di una visione ecologista del mondo, ma di una visione – emersa ieri in alcune dichiarazioni di esponenti della minoranza di destra in Regione Emilia-Romagna – che considera la transizione all’elettrico una sciagurata “imposizione del Green Deal ideologico”, e non una necessità per restare al passo con i mercati internazionali, per garantire una produzione nel settore elettrico non delegata in toto alla Cina, e, non da ultimo, per combattere l’emergenza climatica e liberare l’Italia dalla dipendenza dalle fonti fossili di importazione.
Ma facciamo un passo indietro per ricostruire la vicenda. Nel 2018 la proprietà della storica azienda bolognese Magneti Marelli è passata da Stellantis alla giapponese Calsonic Kansei, controllata dal colosso di private equity americano Kkr (quello stesso che sta dando la scalata a Tim). Il sito di Crevalcore minacciato oggi di chiusura produce collettori di aspirazione aria e di pressofusi di alluminio, entrambi componenti per motori endotermici, un comparto che andrà via via esaurendosi con il passaggio all’elettrico.
Dalla stampa si apprende che il fondo americano Kkr vanta ben 11 miliardi di ricavi, per cui, volendo, non mancano di certo le risorse per investire nella transizione ecologica e salvaguardare i posti di lavoro dell’azienda.
Da anni si sa che i mercati nazionali e internazionali si sarebbero orientati verso l’auto elettrica. Noi Verdi lo dicevamo dai tempi di Marchionne, che invece non ne voleva sapere dell’elettrico e rispondeva picche ai sindacalisti più avveduti che lo sollecitavano sulla necessità di convertire per tempo la produzione all’elettrico, anche in risposta all’urgenza di contrastare il cambiamento climatico. Non avere per tempo preparato un passaggio graduale alle nuove produzioni è colpa della proprietà dell’azienda e dei governi che si sono illusi di poter continuare con il business as usual della produzione di motori obsoleti.
Troppo comodo illudere i lavoratori che tutto possa rimanere come prima, e poi scaricarli brutalmente chiudendo le fabbriche, come nel caso Marelli.
E troppo comodo anche scaricare le proprie responsabilità sull’Europa e sui Verdi, mentre tutto è frutto dell’incapacità di stare al passo con i tempi, e del cinismo insito nei licenziamenti di massa.
Occorre tutelare i lavoratori con misure adeguate mentre si promuove il passaggio inevitabile a nuove produzioni. È l’Europa stessa ad aver previsto i fondi della Just Transition all’interno del Green Deal, proprio per garantire compensazioni e non fare vittime sul piano sociale.
Come Europa Verde esprimiamo piena solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici della Marelli. Nei prossimi giorni saremo accanto a loro nel “presidio di resistenza” iniziato oggi davanti allo stabilimento di Crevalcore.