Finalmente qualche goccia di pioggia è arrivata. Anche la neve è riapparsa nei giorni scorsi, su certe aree persino in maniera abbondante. Il rischio siccità, però, è più che mai dietro l’angolo anche per il 2023. Mentre per quanto riguarda il riscaldamento globale, non va dimenticato che la scala di misura della progressione dei cambiamenti climatici è molto più ampia degli eventi meteo di qualche giorno o settimana.
L’incombere della siccità ce lo conferma l’odierno livello del Po, che si è alzato solo di qualche centimetro. La preoccupazione per la diminuzione delle precipitazioni è molto forte, e deve spingerci a mettere in campo misure di prevenzione e di modifica dell’attuale modello produttivo agricolo e zootecnico, che invece fatica a riconvertirsi e adattarsi ai cambiamenti climatici.
Oltre al livello delle acque del Po, a quello di altri fiumi e dei laghi (in testa il caso del Lago di Garda dove è riaffiorato l’istmo che collega la riva all’isola dei Conigli), i campanelli d’allarme che stanno suonando sono tanti. Recentemente mi hanno fatto particolare impressione i dati della prima analisi globale del patrimonio immobiliare e del territorio realizzata, per gli investitori del settore, da The Cross Dependency Initiative – XDI, consultando i leader mondiali dell’analisi del rischio climatico fisico.
Secondo questo studio, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna sono nella top ten (rispettivamente al quarto, quinto e ottavo posto) delle regioni europee più esposte agli eventi meteorologici estremi e al cambiamento climatico al 2050. In altre parole, buona parte di quell’area che è considerata la locomotiva economica del nostro Paese (ma non solo: la Lombardia è la seconda economia regionale dell’UE con 366 miliardi di euro di prodotto) è fortemente esposta al rischio climatico. I fattori analizzati sono: inondazioni fluviali superficiali e combinate con l’inondazione costiera; caldo estremo; incendi boschivi; movimenti del suolo (legati alla siccità); vento estremo; gelate.
Non posso che condividere la riflessione di Luca Iacoboni, responsabile programmi nazionali di Ecco, think tank italiano per il clima, quando afferma che “il costo dell’inazione è di gran lunga più alto di quello che si dovrebbe sostenere per mettere in campo efficaci azioni di mitigazione e adattamento”. È una riflessione che gli scienziati che studiano il cambiamento climatico hanno espresso in più di un’occasione. Purtroppo, in Italia non si ragiona ancora in ottica di prevenzione dei danni e di conversione ecologica sistemica, bensì si procede sperando che le pezze che si mettono qua e là siano sufficienti a sfuggire alle conseguenze catastrofiche del riscaldamento globale. Siccità in primis, per le ripercussioni che ha sulla produzione alimentare, oltre che sugli ecosistemi dai quali dipende la nostra stessa possibilità di esistere sul Pianeta.
Un recente studio del Wwf rileva che “la siccità è ormai un problema strutturale, è uno dei prezzi che paghiamo al cambiamento climatico. Dobbiamo prepararci a una realtà nuova, caratterizzata anche da una riduzione della disponibilità idrica media annua del 19% dell’ultimo trentennio rispetto al precedente (ISPRA, 2022) e cambiare, anche ponendo rimedio agli errori del passato a cominciare dagli sprechi e dalle perdite della rete di distribuzione (oggi fino al 40%) e nelle case, dove gli italiani sono campioni d’Europa di spreco (220 litri in media abitante al giorno). Dobbiamo anche ridurre il fabbisogno di acqua in agricoltura che utilizza oggi il 60% della risorsa acqua disponibile”. L’unica cosa da non fare è non far nulla.
Nella mia attività di capogruppo di Europa Verde nell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, mi sono occupata, a più riprese e in più occasioni, della necessità di contrastare l’emergenza climatica, approfittando anche delle opportunità economiche e occupazionali che offrono la transizione ecologica ed energetica. L’ultima, in ordine di tempo, è la risoluzione che ho depositato in queste ore sulle misure da avviare e/o intensificare per prevenire e combattere la siccità in Emilia-Romagna. Perché non basta più agire a livello governativo: occorre che anche il livello regionale e locale facciano la loro parte, coinvolgendo tutti gli stakeholder del mondo agricolo, zootecnico, industriale, scientifico e tecnologico.
L’inazione è il costo principale che stiamo sostenendo senza averne piena consapevolezza o, nei casi dove si ha, preferendo continuare pigramente con il business as usual: per inerzia. L’accelerazione dei cambiamenti climatici, però, oltre che un tema ambientale, politico e sociale, è un tema di grande rilievo economico. Chi investirà in aree a rischio? Chi investirà in aree inquinate che stanno fuori dai parametri UE? Anche Assolombarda, la potente associazione degli industriali lombardi, è convinta che sia necessario accelerare la transizione. Per il presidente Alessandro Spada si tratta di “una delle sfide più significative che le imprese sono chiamate ad affrontare oggi, così come anche nel prossimo futuro… un percorso non più rinviabile, ma già in corso, che richiede un ripensamento delle fasi della catena del valore”.
Prima di affidarci all’estremo rimedio della… danza della pioggia, vediamo di impiegare meglio e conservare l’acqua che abbiamo, e di porre le condizioni, insieme alla comunità mondiale, per invertire la rotta del riscaldamento globale e dell’emergenza climatica. Non c’è più tempo da perdere, come ammonisce anche l’orologio climatico che, grazie a Europa Verde, campeggia sull’home page del sito dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna e che presto sarà visibile su monitor all’ingresso della sede.