Ancora brutte notizie dal nuovo Rapporto 2023 “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), che è stato presentato il 3 dicembre nella sede di #Ispra. Sia pure con una lieve flessione, il #consumodisuolo nel nostro Paese prosegue a ritmi sostenuti.
Ma vediamo nel dettaglio cosa è emerso dalle statistiche 2023.



Se però sottraiamo dal computo le aree ripristinate (operazione da cui si ricava il #consumonetto di #suolo) la classifica cambia e vede in testa l’#EmiliaRomagna (+735 ettari), seguita da Lombardia (+728), Campania (+616), Veneto (+609), Piemonte (+533) e Sicilia (+483).
Anche nel 2023 #Bologna a livello regionale è tra i Comuni che hanno consumato più suolo vergine. Attualmente in tutta la provincia sono stati impermeabilizzati 33mila ettari, 21 in più rispetto a un anno fa, per una superficie pro capite pari a 362 metri quadrati. Tra i singoli comuni, spiccano #Casalecchio diReno e #SalaBolognese: il primo per aver cementificato un terzo della superficie amministrativa, il secondo per essersi mangiato 24 ettari di suolo (quinto in regione) ed essere il primo comune per densità (il 53% degli abitanti vive su una superficie impermeabilizzata). Tra i capoluoghi provinciali il primato negativo in regione va a #Ravenna.


Le convenzioni, con i relativi impegni economici, sono state siglate non in Giunta – come sarebbe accaduto qualora fossero state esito di procedure urbanistiche – ma nell’ufficio di un notaio, con una scrittura tra imprese e funzionari, come se si trattasse di un negozio privato. In questo modo la città ha iniziato a trasformarsi pezzo dopo pezzo, fuori da una visione d’insieme dello spazio pubblico e senza tenere nel dovuto conto le esigenze collettive della città, sottraendo i progetti alla discussione e alla valutazione politica del Consiglio comunale e della Giunta, e senza alcuna considerazione degli impatti ambientali, sociali e sulla qualità di vita dei residenti di quelle aree. Una sorta di procedura “rigenerazione fai da te” al di fuori dei vincoli e dei controlli amministrativi consueti. Una modalità impugnata dalla magistratura milanese che ha scoperchiato la pentola con una serie di inchieste sulla base di denunce di cittadini che hanno visto sorgere davanti a casa palazzoni di otto piani al posto di capannoni alti quattro metri.

La nuova legge cancella, di fatto, ogni distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, tra ristrutturazione edilizia e ristrutturazione urbanistica (che possa riguardare un isolato intero e non solo un edificio). E rende inutili gli strumenti di accordo tra pubblico e privato per guidare la collocazione dell’edificio nel contesto, per contrattare con le proprietà vicine i nuovi interventi e per collegare il nuovo progetto con la città preesistente, in modo funzionalmente ed esteticamente congruo. Da dieci anni a questa parte, Milano ha visto spuntare grattacieli all’interno degli isolati, a ridosso di edifici e giardini esistenti, al posto di piccoli capannoni industriali.
Anche chi non è esperto di urbanistica comprende che impatto hanno edifici molto alti, persino grattacieli sorti in quartieri già ad alta densità abitativa senza predisporre un piano di ridefinizione dei servizi necessari alle comunità. L’obiettivo dichiarato era mantenere alta l’attrattività di Milano nei confronti degli investimenti immobiliari, facilitando e snellendo le procedure. Ma il prezzo dell’attrattività non può certo essere l’aggiramento delle normative di tutela dei beni comuni, tra i quali rientra a pieno titolo lo spazio urbano.