Da cinque giorni, con grande coraggio, le donne iraniane sfidano il regime degli Ayatollah nelle piazze del paese col taglio dei propri capelli e dando fuoco ai propri hijab, il velo che devono portare obbligatoriamente le donne per coprire testa, spalle e schiena.
Questa clamorosa protesta è stata scatenata dalla morte di Masha Amini, la ragazza di 22 anni deceduta pochi giorni fa dopo essere stata arrestata a Teheran dalla cosiddetta polizia morale (un nome che la dice lunga sullo stato di oppressione in cui vivono donne e uomini in quel paese), il corpo speciale che vigila sull’osservanza delle norme di comportamento imposte dal regime islamico iraniano. Mahsa stava visitando la città ed è stata bloccata dai poliziotti a causa di una ciocca di capelli che le fuoriusciva dal chador. Le ore successive all’arresto restano tuttora un buco nero; quello che si sa per certo, e che è trapelato sulla stampa, è che durante l’interrogatorio la ragazza è collassata. E che due giorni dopo è deceduta nell’ospedale in cui era stata trasferita. Il suo corpo riporta vistosamente lividi e fratture, per cui sembrerebbe una sorta di lugubre “caso Stefano Cucchi iraniano”. E se ci sono voluti anni per arrivare alla verità sulle sevizie inflitte a Stefano Cucchi, figuriamoci cosa ci si può aspettare dalle indagini nell’Iran degli Ayatollah.
Ricordo ancora la sorpresa che provai anni fa a Teheran quando, uscendo dall’albergo, fui avvicinata da uno sconosciuto, forse una sorta di guardiano della rivoluzione in borghese, che mi infilò il ciuffo di capelli, che sbucava fuori, sotto il chador, il velo integrale che copriva tutto il corpo allora obbligatorio.
Intanto, per chiedere giustizia per Mahsa e libertà per se stesse dal giogo oscurantista che limita la vita delle donne, le manifestanti iraniane stanno facendo una sorta di “sciopero del velo”, rifiutando di indossare l’hijab: nelle università e nei video diffusi sui social, le ragazze dando fuoco al velo, e in segno di lutto si tagliano i capelli seguendo un’usanza del Kurdistan, la regione di origine di Masha Amini.
La repressione nei confronti di queste proteste non si è fatta attendere, ed è durissima: ad oggi, mentre scrivo, secondo l’organizzazione che monitora le violazioni dei diritti umani in Iran “Hengaw Organization For Human Rights, sono già nove le vittime uccise dalle forze di sicurezza iraniane a colpi di arma da fuoco. Mentre l’agenzia di stampa della Repubblica islamica iraniana Irna minimizza e riferisce dell’impiego da parte della polizia di gas lacrimogeni e idranti per disperdere le folle di manifestanti che nella notte si sono radunate in ben quindici città iraniane. Una vera e propria scossa al regime!
Intanto in Russia – altro paese dove manifestare pubblicamente è un atto di coraggio e non un diritto acquisito e rispettato – da ieri sono state arrestate di più di mille persone che protestavano nelle piazze contro Putin e il suo ordine di mobilitazione generale. Fonti finlandesi riferiscono anche del crescente afflusso di cittadini russi alla frontiera che abbandonano il loro paese per evitare la temuta chiusura dei confini.
La repressione di cittadine e cittadini che protestano è una violazione della libertà di pensiero e dei diritti dell’uomo che non può essere tollerata. In queste ore buie e angoscianti, la mia solidarietà va a tutte quelle donne e a quegli uomini, giovani e non giovani, che lottano contro regimi liberticidi pur consapevoli che il prezzo da pagare per loro è e sarà altissimo. Per questo non vanno lasciate e lasciati soli dall’Occidente.