Pubblico di seguito l’articolo uscito a mia firma sul numero di dicembre 2013 della rivista micron dell’ARPA dell’Umbria.

GREEN ECONOMY, L’ECONOMIA DEL BENE COMUNE CHE GUARDA AL FUTURO

di Silvia Zamboni

Con oltre 2200 iscritti gli Stati Generali della Green Economy 2013 (SGGE) hanno fatto il pienone anche quest’anno, segno dell’attenzione e delle aspettative con cui si guarda all’economia verde, da considerarsi non come una branca settoriale della catena che produce valore, ma come un nuovo modo di intendere l’economia in rapporto agli obiettivi della sostenibilità ambientale e sociale e della qualità della vita. «L’idea che gli esseri umani potrebbero prosperare consumando di meno è ovviamente allettante. Sarebbe però da pazzi pensare che sia una cosa facile da fare», scrive Tim Jackson, professore di sviluppo sostenibile dell’Università del Surrey, nell’introduzione al volume “Un green new deal per l’Italia” presentato agli SGGE 2013. «D’altro canto non ci si dovrebbe arrendere facilmente. Potrebbe infatti darci la migliore prospettiva possibile per la green economy: la prosperità sarebbe l’arte di vivere bene su un pianeta finito. La sfida per l’economia verde è quella di creare le condizioni per far sì che ciò avvenga», conclude Jackson.

Promosso in occasione di Ecomondo (Fiera di Rimini, 6-9 novembr), questo secondo appuntamento nazionale con l’imprenditoria verde ha messo all’ordine del giorno una fitta e dettagliata agenda elaborata dai dieci gruppi di lavoro tematici del Consiglio Nazionale della Green Economy. Riforma fiscale in chiave ecologica; migliore utilizzo delle risorse europee e strumenti finanziari innovativi; investimenti per infrastrutture verdi, difesa del suolo e acque; programma nazionale di misure per l’efficienza e il risparmio energetico; misure per sviluppare le attività di riciclo dei rifiuti; rilancio degli investimenti per lo sviluppo delle fonti rinnovabili; programma di rigenerazione urbana, recupero degli edifici e bonifica per limitare il consumo di suolo; fondo nazionale per la mobilità sostenibile; valorizzazione dell’agricoltura di qualità; piano nazionale per l’occupazione giovanile in ambito green: sono questi i tasselli del pacchetto di misure di “pronto intervento” in chiave green presentato agli SGGE 2013 per cogliere e promuovere le opportunità imprenditoriali e occupazionali offerte dalle attività economiche verdi e dagli eco-investimenti, la cui vocazione è saldare le ragioni dell’ambiente (riduzione del consumo di risorse naturali non rinnovabili, dell’impronta ecologica e dell’impatto sull’ambiente, dei consumi energetici e delle emissioni climalteranti) con i vincoli dei bilanci aziendali. Un’agenda tagliata su misura per un programma di New Deal Verde per l’Italia che accompagni il nostro paese fuori dal tunnel dell’attuale crisi economica, occupazionale, ambientale ed energetica (la documentazione completa è disponibile sul sito www.statigenerali.org).

Di “liste virtuose”, viene però spontaneo obiettare, sono lastricate le strade dell’inconcludente, frustrante deja vù nostrano delle enunciazioni che anno dopo anno restano sulla carta. Come si può passare, finalmente, dalle buone intenzioni alla messa in opera, dal virtuoso elenco “del che fare” a quello più concreto e misurabile del “fatto”? «Occorre innescare una spinta convergente che agisca su più piani: governativo, regionale e imprenditoriale», è la risposta di Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile che ha l’incarico di coordinare l’organizzazione degli Stati Generali. « A livello governativo abbiamo già incassato l’atteggiamento favorevole del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, che ha presentato il collegato ambientale alla Legge di Stabilità per lo sviluppo della green economy». Si tratta di un provvedimento in 30 articoli (http://www.minambiente.it/comunicati/cdm-approva-collegato-ambientale-lagenda-verde-del-governo#sthash.KrOmEDDo.dpuf) che contiene misure per la protezione del patrimonio naturale, la valutazione di impatto ambientale, gli acquisti ed appalti ‘verdi’ da parte della Pubblica amministrazione, le infrastrutture verdi, l’occupazione giovanile in chiave green, la gestione dei rifiuti per incrementarne recupero e riciclo. Su quest’ultima voce, però, pesa negativamente la dilazione delle scadenze fissate dalla road map tracciata dal decreto Ronchi del 1997: il raggiungimento dell’obiettivo del 65% di raccolta differenziata è stato spostato infatti alla fine dell’anno 2020. «Una sorta di intollerabile condono per i comuni in ritardo rispetto alla vigente tabella di marcia che non premia i comuni virtuosi che quegli obiettivi li hanno già raggiunti» lo definisce Francesco Ferrante, vice Presidente di Kyoto Club. In materia di servizio idrico il ddl Orlando introduce una tariffa sociale che terrà conto delle condizioni sociali degli utenti, recependo così «un pezzo del referendum sull’acqua pubblica del giugno 2011», secondo le parole del ministro dell’Ambiente. Infine, il collegato ambientale prevede, meritoriamente, il finanziamento degli interventi di demolizione di immobili abusivi realizzati in aree ad elevato rischio idrogeologico. Non sono invece mancate critiche (mentre andiamo in stampa) all’esiguità dei 30 milioni stanziati per la difesa del suolo nella Legge di Stabilità, considerato che, non solo alla luce dei tragici eventi che hanno sconvolto la Sardegna con l’alluvione di metà novembre, il dissesto idrogeologico che corrode il nostro paese richiederebbe l’allocazione di fondi ben più consistenti per prevenire le conseguenze dei fenomeni meteo estremi, e non solo per rimediare ai danni post-eventi alluvionali, in particolare avviando un piano di misure di adattamento ai cambiamenti climatici. Secondo il Consiglio Nazionale dei Geologi «negli ultimi 60 anni gli eventi naturali a carattere disastroso sono stati ben 3.362 e sono collegabili principalmente a fenomeni come improvvise inondazioni, frane di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, colate di fango e detriti». Se poi a questa fragilità territoriale si aggiunge, come è accaduto ad esempio in Sardegna, una politica urbanistica scriteriata che consente di costruire in aree a rischio esondazioni, frane e quant’altro, la catena dei disastri non potrà che allungarsi.

Continuando la disanima del ‘chi/cosa deve fare’ per attuare l’agenda degli SGGE, secondo Ronchi «la vera novità dell’edizione 2013 è stata l’attivazione del livello regionale, a partire dall’Agenda Verde del Lazio, regione che l’11 dicembre ha convocato una edizione locale degli SGGE. L’ultimo tassello», conclude il Presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile, «è costituito dalle attività che le aziende e le organizzazioni d’impresa svolgono per conto proprio, dalla formazione alla ricerca e all’innovazione di prodotto e processo, alla elaborazione di una vision complessiva, senza limitarsi a chiedere interventi all’esterno, ovvero alle istituzioni, ma muovendosi in autonomia e investendo in proprio».

A maggior ragione in questo quadro è risuonata particolarmente stonata la “stecca” del ministro allo Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, che ha risposto picche alla richiesta di introdurre le misure proposte in tema di fiscalità verde, di rilancio delle fonti rinnovabili con un nuovo sistema di incentivi non più in bolletta, e di sostegno all’efficienza energetica. «Mentre gli SGGE hanno offerto la rappresentazione plastica di ciò che le imprese sono state capaci di costruire concretamente, l’approccio del ministro Zanonato, tutto rivolto al passato, ha manifestato l’incapacità di comprendere il futuro iscritto nel dna della green economy», è il lapidario commento di Ferrante.

Il felice connubio tra investimenti eco e bilanci aziendali e capacità di stare sul mercato, anche estero, è al centro dei dati del Rapporto Green Italy 2013 presentato a novembre dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere: alle 328mila aziende italiane dell’industria e dei servizi (22%) con almeno un dipendente che dal 2008 hanno investito o lo faranno entro quest’anno in tecnologie green, si deve il 38% di tutte le assunzioni programmate nell’industria e nei servizi nel 2013, precisamente 216.500 su un totale di 563.400. Segnali positivi arrivano dalla green economy nazionale anche sul tema dell’occupazione giovanile: il 42% del totale delle assunzioni under 30 programmate quest’anno verrà fatto proprio da quel 22% di aziende. Inoltre il Rapporto evidenzia che il 42% delle imprese manifatturiere che fanno eco-investimenti esporta i propri prodotti, contro appena il 25,4% di quelle che non investono. Green economy significa anche redditività: il 21,1% delle imprese manifatturiere eco-investitrici ha visto crescere il proprio fatturato nel 2012, contro il 15,2% delle non investitrici.

L’imprenditoria alleata dell’ambiente e ispirata al perseguimento del bene comune è stata protagonista anche dell’annuale appuntamento dei Colloqui di Dobbiaco (29-30 settembre 2013) intitolati “Intraprendere la grande trasformazione” e dedicati alle riflessioni sull’economia del bene comune e all’incontro con un gruppo di imprenditori che hanno intrapreso forme di produzione socialmente ed ecologicamente sostenibili (www.toblacher-gespraeche.it/it/colloqui-di-dobbiaco.html). Gli interventi sono stati aperti dalla relazione di Gabriele Centazzo, presidente della Valcucine e autore del manifesto “Per un nuovo Rinascimento italiano” che ha pubblicato, a proprie spese, sul Corriere della Sera e su Repubblica nell’autunno 2012. Un’accattivante presentazione la sua, a tratti venata di irriverente ironia verso gli immarcescibili politici italiani dell’intero arco costituzionale, che però non ha convinto su un punto: la forte presa che le imprese low cost hanno sui consumatori (leggi ad esempio IKEA, per restare al settore dell’arredamento) e la rilevanza della massa d’urto delle grandi aziende per determinare il cambiamento. Ovvero: il successo dell’economia del bene comune e della sostenibilità passa anche dall’appetibilità del “cartellino col prezzo” e dalla taglia delle aziende. Lo ha sostenuto Stefan Schaltegger, direttore del Center for Sustainability Management dell’Università Leuphania di Lüneburg (Germania). Al contrario di Centazzo, per Schaltegger sono le grandi imprese i motori del cambiamento perché rispetto ad un’azienda di nicchia, sia pur virtuosa, possono incidere di più sul mercato. Per avere una società ecosostenibile bisogna quindi fare il salto verso il mercato di massa sostenibile, «misurando» attentamente l’impatto delle diverse soluzioni disponibili. Prendiamo la mobilità, ha proposto: abbiamo il modello delle auto elettriche, ibride o a celle combustibili da un lato, e il car sharing dall’altro. La prima soluzione non è sostenibile perché richiede un elevato consumo di materie ed energia per la produzione di massa di veicoli; mentre lo è il car sharing, che riduce il numero di vetture da sfornare. Quanto poi al dibattito in corso sulla decrescita, «non basta non crescere per essere sostenibili», ha sottolineato Schaltegger, «né decrescere è garanzia di sostenibilità, tanto meno sociale. Nel mondo ci sono tre miliardi e mezzo di esseri umani che vogliono consumare di più, muoversi di più: non riusciremo ad impedirglielo, per cui la soluzione è offrirgli il modello del car sharing che funziona in Germania, Svizzera e sta decollando a Milano» (con oltre 50mila neoassociati, ndr).

Intervistati dal pubblico seduto in circoli concentrici attorno ad una metaforica boccia di vetro, nel cosiddetto fish bowl hanno “nuotato” imprenditrici e imprenditori, presentati come testimonial di un raggiunto equilibrio tra successo di mercato e responsabilità ambientale e sociale di impresa. Tra questi, anche due imprenditori umbri: Federica Angelantoni, amministratrice delegata di Archimede Solar Energy, l’impresa che ha inventato un processo di accumulo del calore ottenuto dagli impianti di solare termodinamico (da convertire in elettricità) che si basa sull’impiego di sali inerti in sostituzione del più costoso e inquinante olio diatermico; e Valentino Mercati, fondatore di Aboca Spa, azienda leader nel settore agro-farmaceutico biologico.

Per Karl Ludwig Schibel, coordinatore della due-giorni di Dobbiaco, «parafrasando Marx, i Colloqui 2013 hanno fatto camminare l’economia verde sui piedi anziché sulla testa. In altre parole, le imprese devono trovare il punto ottimale di equilibrio tra i costi legati al miglioramento delle performance ambientali e i ricavi. Può non piacerci perché vorremmo marciare più speditamente verso la sostenibilità. Ma dobbiamo accettare l’evidenza che questa trasformazione è un processo, nel corso del quale anche i conti aziendali devono tornare».

15 dicembre 2013

Silvia Zamboni

Giornalista – Ambiente e Sostenibilità, Energia e Cambiamenti Climatici, Economia Circolare, Green Economy, Sharing e Digital Economy, Mobilità Sostenibile, Turismo Sostenibile, Agricoltura e Manifattura Biologica, Politiche Ambientali Europee.