Stamattina, in commissione Parità dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, si è parlato di #linguaggio #inclusivo, non discriminatorio, nell’ambito di politiche attive per la parità di genere. Giovanna Cosenza, docente di Semiotica presso l’Università di Bologna, ha sottolineato nel suo intervento che “la buona notizia è che oggi il terreno è pronto ad accogliere questa sensibilità” che non è puramente lessicale ma sostanziale. “La notizia negativa, ha aggiunto, “è che bisogna lavorarci ancora” per superare, nella #comunicazione #istituzionale, pubblicitaria e aziendale, gli stereotipi sessisti, razzisti, su ageismo e disabilità che permeano il linguaggio.
Nonostante i concetti e i principi femministi abbiano via via influenzato numerosi settori disciplinari, le politiche pubbliche e aziendali, oltre che i contenuti dei media, solo di recente in Italia istituzioni, associazioni ed enti pubblici e il sistema dell’informazione promuovono buone pratiche finalizzate alla comunicazione in ottica di genere, all’empowerment femminile, all’equilibrio tra tempi di vita e lavoro.
Non lo scopriamo certo oggi il portato valoriale del linguaggio e il suo potere simbolico, che permea e influenza profondamente la percezione che abbiamo della realtà, spesso veicolandola sotto forma di stereotipi consolidati, impermeabili alla ricezione di nuove consapevolezze e sensibilità. Come ha evidenziato la sociolinguista Vera Gheno, le parole e le immagini che utilizziamo formano i nostri pensieri, e se non siamo in grado di utilizzarle in modo corretto, queste sono capaci di distorcere la realtà.
La lingua è lo specchio della nostra società, la sua identità. Pertanto le analisi sulla comunicazione, anche quella istituzionale, sono fondamentali per analizzare le implicazioni etiche del linguaggio e per recepire e istruire il cambiamento.
Sono consapevole delle difficoltà che questo tipo di riflessione comporta, e quanto possa appesantire il linguaggio, ad esempio, l’adozione del politically correct per quanto riguarda la doppia declinazione maschile e femminile al posto del maschile usato come sessualmente neutrale e onnivalente. Come, ad esempio, nell’espressione cittadine e cittadini, che però ci restituisce la connotazione davvero inclusiva di una comunità. Questa pratica, peraltro, in Germania è in uso da anni, senza destare meraviglia o apparire come un esotismo linguistico.
Anche la femminilizzazione di nomi di professioni e ruoli ha una valenza che non può essere svilita con l’accusa di offendere la lingua in uso. E’ una scelta che ho fatto anch’io, orgogliosamente, anni fa facendomi chiamare assessora, anziché assessore. Se prima c’era già la pastora, potrà esserci oggi l’assessora, ora che anche alle donne si sono aperti spazi in politica.
Pur nell’esercizio, sollecitato oggi da Giovanna Cosenza, di fare ricorso alla creatività per ridurre eventuali pesantezze espressive, il vantaggio di questi cambiamenti è quello di aprire un dibattitto sulle profonde diseguaglianze sociali e relazioni di potere tra i generi maschile e femminile. Quindi è bene chiedersi come mai usiamo certi termini, parole e immagini discriminatorie o stereotipate; e sforzarci a comunicare in maniera consapevole e responsabile, valorizzando il genere femminile e le diversità, sul piano simbolico e culturale.
Come Verdi da sempre abbiamo nel nostro Dna la cultura eco-femminista. Continueremo ad approfondire questi temi e ad impegnarci per un linguaggio inclusivo e per una comunicazione in grado di recepire i cambiamenti positivi che avvengono nella società.