Basta una scorsa rapida ai giornali di questa mattina e degli ultimi giorni per capire che siamo alle prese con una siccità grave, che sta creando disagi e problemi seri all’agricoltura. Chi segue i miei post non si sorprenderà: non è la prima volta che segnalo questa emergenza, vedi da ultimo quello in cui ho richiamato i dati presentati nel corso del convegno che ho coordinato il 2 luglio sulle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici già in corso.
In Emilia-Romagna assistiamo alla sofferenza del PO, mentre il corso del Trebbia, leggiamo dalla stampa, è diventato una distesa di ghiaia con qualche pozza d’acqua. Il Perino, sempre nel piacentino, è completamente a secco. In Romagna la situazione non è migliore: la pianura soffre molto e così le produzioni agricole che avranno una resa più bassa del solito. Al momento, solo l’intervento del Canale Emiliano-Romagnolo ha consentito agli agricoltori di tirare un sospiro di sollievo nella fase più importante della stagione agricola. In Emilia-Romagna, ci dicono i dati, sta piovendo meno che in Israele.
Questa condizione di siccità non è transitoria: è un fenomeno strutturale con il quale dobbiamo fare i conti, senza mai rinunciare all’impegno per invertire la rotta del cambiamento climatico riducendo le emissioni di gas serra.
Parallelamente a questa azione dobbiamo sviluppare politiche di adattamento alla condizione che viviamo in Emilia-Romagna. Ad esempio, ripensando il modello agricolo, di grande valore anche economico e di qualità alimentare, ma da ritarare privilegiando colture meno idroesigenti e metodi di irrigazione ad alta efficienza e risparmio idrico, prima di pensare a nuovi mega invasi che sfigurerebbero l’ambiente naturale di intere porzioni di territorio. Col rischio di creare nuovi problemi, anziché risolverne.