Pubblico di seguito il mio articolo uscito sul numero di settembre-ottobre 2011 della rivista QualEnergia sotto il titolo “Il verde che batte la crisi”
Da maggio di quest’anno, è un verde, Winfried Kretschmann, il Presidente del Baden-Württenbberg, il più ricco, più popoloso e più industrializzato Land della Germania. Dopo sessant’anni ininterrotti di governo democristiano, Kretschmann oggi guida una maggioranza Grüne-SPD (verdi–socialdemocratici). Tra le industrie che hanno in Baden-Württenberg i loro quartier generali ci sono colossi dell’auto come Mercedes, Audi, Porsche, BMW e, nell’indotto, Bosch. Trascinati dall’opposizione popolare al piano di sviluppo edilizio che ha al centro la nuova stazione ferroviaria sotterranea (un progetto da archeologia sviluppista per città come Dubai, l’ha definito Kretschmann), i Grünen sono ora alla prima prova del fuoco come forza di governo leader, e non più solo come alleato del partito di maggioranza (quasi sempre la SPD, come nel passato governo federale guidato da Gerd Schröder; ma anche la CDU, come per esempio ad Amburgo fino al 2010, e oggi a Darmstadt).
La presidenza verde nel Baden-Württenberg rappresenta una svolta non meramente politica, perché potrà avere riflessi su un’eventuale accelerazione della riconversione ecologica del sistema industriale della Germania. Con esiti che molto probabilmente travalicherebbero (travalicheranno) i confini tedeschi, incidendo sui destini della green economy europea e mondiale.
Alla Zukunftkonferenz (la Conferenza sul Futuro) dei Grünen che si è tenuta a Berlino il 2 luglio scorso, Kretschman ha partecipato a un faccia a faccia con Matthias Wissmann, Presidente della Federazione delle industrie tedesche produttrici d’auto, dedicato ad approfondire il tema “La trasformazione dell’industria dell’auto”. Anche in questa occasione il Presidente del Baden-Wüttenberg ha ribadito in tutta tranquillità che «meno auto è meglio». In una successiva intervista a un quotidiano locale ha poi ricordato che la modernizzazione ecologica dell’economia è uno dei temi centrali del partito di maggioranza verde: non sono lì per fare politica da “giardinetti per l’infanzia”. «Preferirei – ha detto – che chi ha critiche da fare ci suggerisse come controllare i cambiamenti climatici, piuttosto che chiedere alla politica di lasciarli lavorare in pace». Il tempo che ci resta a disposizione per intervenire è inferiore a quanto si pensava, ha proseguito. Nessuno quindi riuscirà a distoglierlo dall’obiettivo di rendere sostenibili l’economia e gli stili di vita. Quante auto continuerà a vendere la Mercedes lo decide il mercato, non il Presidente del Baden-Wüttenberg, ha aggiunto. Ed è prevedibile che il numero delle auto in circolazione nel mondo aumenterà ancora. Tutto questo rappresenta però un problema, ha osservato, e il Baden-Wütternberg, una delle regioni più sviluppate del mondo, deve organizzare la mobilità in modo da dimostrare che è possibile soddisfare i bisogni individuali senza pesare sull’ambiente, diventando così la regione-modello per la mobilità sostenibile.
Il documento che ha introdotto il confronto tra Kretschmann e Wissman alla Conferenza sul Futuro era incentrato sull’approccio all’economia verde intesa come exit strategy dalla crisi economica. Si parla infatti del superamento della contrapposizione tra economia ed ecologia, e di come l’economia verde, in rapporto per esempio alla crisi climatica, rappresenti una classica soluzione win-win. Compito dei verdi ora, vi si legge, è individuare non solo la strategia per guidare il processo di trasformazione ecologica dell’economia, ma anche metterne in luce gli aspetti di durezza, le difficoltà che comporta: non tutti i posti di lavoro in tutti i settori industriali si potranno mantenere ma, in cambio, ci saranno nuove opportunità.
Questa attenzione al Green New Deal è forte anche nelle attività di ricerca e divulgazione della Fondazione Heinrich Boell, legata ai Grünen, autentico think tank che stimola e alimenta la discussione dentro e fuori il partito, e non solo in Germania (nelle varie sedi sparse nel mondo lavorano circa 200 persone). Per la Fondazione, Greening the economy (riconversione verde dell’economia) e Green New Deal restano temi trainanti, così come la ristrutturazione del sistema energetico, la riforma del sistema fiscale con inclusione della tassa sulla CO2. In materia di politiche urbane, a maggio hanno organizzato la terza conferenza internazionale sulla trasformazione ecologica delle città, includendo approfondimenti su un nuovo modello di mobilità, sulla mobilità elettrica e il trasporto pubblico. Stanno lavorando anche sul tema della chimica sostenibile (in particolare hanno aperto un canale di dialogo con la Bayer), visto che l’energivora industria chimica è una delle tre colonne portanti del sistema industriale tedesco. Inoltre hanno in preparazione una conferenza sul futuro dell’industria dell’auto che si terrà a gennaio 2012 proprio a Stoccarda. Tra i temi a carattere sociale che affrontano, ci sono anche i cambiamenti demografici, a partire dai riflessi che hanno sul mercato del lavoro e sul sistema delle pensioni, che alla Fondazione ritengono sia, anche alla luce di queste trasformazioni, da riformare. Ovviamente si occupano di cambiamenti climatici e politiche energetiche per farvi fronte, e di politiche agricole.
Che i verdi si interessino di queste tematiche può sembrare un’ovvietà derivata dal loro Dna (non lo è però il metodo, scientifico, non parolaio, con cui operano). Quanto però la sostenibilità sia mainstreaming in Germania, ovvero un argomento di interesse generale, lo attestano, per esempio, due commissioni parlamentari: la Commissione d’inchiesta, fortemente voluta dai Grünen, Wachstum, Wohlstand, Lebensqualitaet – Wege zu nachhaltigem Wirtschaften und gesellschaftlichem Fortschritt in der Sozialen Marktwirtschaft (Crescita, welfare, qualità della vita: le strade per un’economia sostenibile e il progresso sociale nell’economia sociale di mercato), e il Beirat für nachhaltige Entwicklung, il comitato parlamentare per lo sviluppo sostenibile, la cui istituzione è stata riconfermata per il terzo mandato legislativo consecutivo. Viene da arrossire, più di rabbia che di vergogna, a ripensare alla mozione approvata dalla maggioranza del Senato italiano nel 2009 per negare i cambiamenti climatici e mettere i bastoni tra le ruote alle politiche per contrastarli. Né c’è da meravigliarsi se la Germania, oltre che locomotiva economica d’Europa, si è di fatto candidata a essere anche la locomotiva del cambiamento a favore dell’ambiente, ponendosi in posizione di vantaggio sul mercato dell’innovazione. È anche in questa chiave, infatti, che va letta la decisione di Angela Merkel (peraltro politicamente tempista, dopo le sconfitte elettorali), approvata quasi all’unanimità dal Parlamento, di chiudere entro il 2022 tutte le centrali nucleari, considerate ormai tecnologia del passato.
Compito del comitato parlamentare tedesco per lo sviluppo sostenibile (composto da 22 deputati) è accompagnare legislativamente la strategia per la sostenibilità del Governo e dell’Europa, fornendo suggerimenti. In occasione del ventesimo anniversario della prima Conferenza ONU sullo sviluppo sostenibile tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, e che proprio a Rio verrà celebrato dal 4 al 6 giugno 2012 con un’altra conferenza ONU, il Comitato ha istituito il premio cinematografico Nachhaltigkeit, sostenibilità. Ai concorrenti (studenti e autori non professionisti) è richiesto di illustrare il concetto di sostenibilità nelle sue varie sfaccettature in modo da far riflettere sulle ricadute ambientali di lunga durata e a vasto spettro dell’operare umano.
Della Commissione d’inchiesta “Crescita, Welfare, Qualità della vita” fanno parte 17 deputati e 17 esperti. Tra questi, i verdi hanno coinvolto Uwe Schneidewind, Presidente del blasonato Wuppertal Institut. Obiettivo della Commissione è «lo sviluppo di un nuovo indicatore di progresso che, pur facendo ancora riferimento anche al PIL», modifichi questa unità di misura del benessere sociale «basata su criteri puramente economici e quantitativi» includendo «criteri ecologici, sociali e culturali». Il PIL non basta più per indicare il grado di benessere e di progresso di una società: lo sosteneva già nel 1968 Bob Kennedy; lo ha riconosciuto anche il presidente francese Nicholas Sarkozy, che ha incaricato un suo pool di esperti di riformarlo.
Per statuto, le sedute della commissione d’inchiesta tedesca sono pubbliche, così tutti gli interessati possono partecipare. «Per decenni si è creduto che crescita significasse automaticamente benessere, ma non funziona più così», ha dichiarato la Presidente socialdemocratica della Commissione, Daniela Kolbe. «Riparare i buchi nelle strade fa aumentare il PIL, ma non rende le persone più felici, né contribuisce al progresso della società. Vogliamo indicare nuove strade che ci permettano di raggiungere una crescita che abbia valore, che preservi le fondamenta ecologiche alla base della nostra esistenza e che assicuri a tutti progresso sociale e benessere. Per questo sono rilevanti gli aspetti ambientali; ma anche l’accesso all’istruzione, la qualità del sistema sanitario e la redistribuzione del reddito devono rientrare in questo indicatore. Non basta comunque produrre un nuovo indicatore: il compito gigantesco che abbiamo di fronte è far sì che venga preso sul serio dalla politica e dalla società».
«Ogni punto percentuale di crescita in più contribuisce alla distruzione ecologica, mentre ogni punto percentuale in meno riduce le chances per milioni di esseri umani di sottrarsi a un destino di miseria. La Commissione deve individuare delle vie d’uscita da questo dilemma», hanno scritto i deputati verdi, membri della Commissione, Kerstin Andrea Hermann Ott (quest’ultimo, già direttore dal 2001 del dipartimento Politiche per il clima del Wuppertal Institut, presiede il gruppo di lavoro dedicato in particolare all’efficienza e alla possibilità di scindere la crescita economica dal consumo di risorse). «Al centro delle nostre riflessioni sta la modernizzazione ecologica. Vogliamo accelerare la rivoluzione dell’efficienza e mostrare la strada verso un’economia a basso consumo di risorse. Sarà l’analisi del cosiddetto “rebound effect”, (una sorta di effetto accumulo, n.d.a) a verificare se, nonostante la rivoluzione dell’efficienza, si finisca comunque per imbattersi nella limitatezza delle risorse ambientali. Qualora non fosse possibile raggiungere la totale indipendenza tecnologica delle nostre attività economiche dal consumo di natura, si dovranno studiare misure politiche e sociali che riducano il consumo di risorse, preservando al contempo la qualità della vita e la giustizia sociale».
Tra gli esperti già sentiti dalla Commissione, l’ottantaduenne economista svizzero Hans Christoph Binswanger, un critico della crescita di fama internazionale, che ha sviluppato, tra l’altro, l’idea di una riforma fiscale ecologica, in cui l’ambiente è una variabile indipendente. Nel corso dell’audizione del giugno scorso, Binswanger ha parlato a favore della limitazione del tasso di crescita economica media mondiale all’1,8%. «In un mondo limitato la crescita illimitata non è possibile. I tassi di crescita non vanno però azzerati, ma visibilmente ridimensionati», ha detto Binswanger. Una dinamica illimitata della crescita, porta con sé rischi ecologici ed economici: da un lato, l’eccessiva espansione della massa monetaria in circolazione, a seguito dell’incontrollata spirale della crescita economica, alimenta la speculazione, da cui possono derivare crisi finanziarie, secondo quanto già accaduto nel 2008/2009; dall’altro, la crescita economica illimitata si scontra con la scarsità delle risorse naturali. Da questo punto di vista, se il tasso mondiale di crescita rimanesse al livello odierno del 4-5%, un aumento dell’efficienza nell’uso dell’energia e delle risorse servirebbe a poco, secondo Binswanger. Da tempo, inoltre, propone una riforma delle società per azioni, rispetto alle quali andrebbe preferito il modello delle cooperative.
In tema di crescita e sostenibilità, la Fondazione Heinrich Böll ha pubblicato quest’anno un numero della propria rivista intitolato “Limiti della crescita, crescita dei limiti”. Le società industrializzate stanno per superare i limiti alla crescita. Stiamo stressando in maniera eccessiva la capacità di carico dei sistemi ecologici, scrive nell’introduzione il co-presidente della Fondazione, Ralf Fücks. Allo stesso tempo l’economia mondiale cresce a ritmi mai conosciuti prima. Il nuovo miracolo economico si registra nei Paesi in via di sviluppo. E mentre cresce in maniera drammatica il consumo mondiale di merci e servizi di ogni specie, aggiunge, dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni e l’impiego di risorse, sempre più scarse. C’è il rischio di perdere la corsa contro la crisi ecologica, ammette; ma c’è anche la possibilità di vincerla, se si riuscirà ad aumentare l’efficienza e a effettuare la transizione alla società delle energie e delle materie rinnovabili. È in questo che consiste la rivoluzione industriale verde, annota. Il passaggio da fare è dal concetto dei limiti alla crescita, evidenziati dal Rapporto del 1972 del Club di Roma, a quello della crescita dei limiti, grazie alle nanotecnologie, all’energia solare, al riciclo, alla bionica e all’economia blu di Gunter Pauli che “copiano” dalla natura le soluzioni ai problemi da tradurre poi in innovazione. «Crescita zero in Europa non è la risposta a quella tumultuosa in corso nel resto del mondo. Piuttosto, l’Europa dovrebbe investire il suo orgoglio nel porsi alla testa della modernizzazione ecologica», conclude Fücks.
La Germania ci sta già provando.