Nella Giornata nazionale della Memoria e dell’Accoglienza che ricorre oggi, devono farci riflettere i dati del dossier “Migranti ambientali, gli impatti della crisi climatica” pubblicato ieri da Legambiente: oltre il 40% della popolazione mondiale vive in contesti di estrema vulnerabilità ai cambiamenti climatici ed è esposto a rischi che riguardano abitazioni, insediamenti, infrastrutture, economia, strutture sociali e culturali, sicurezza idrica e alimentare, salute e benessere degli individui, e che sono alla base delle migrazioni.
Non solo: nelle tre macroregioni individuate come quelle più a rischio in America, Asia e Africa, tra il 2010 e il 2020 la mortalità a causa di eventi estremi come inondazioni, siccità, uragani, ondate di calore e incendi è stata 15 volte superiore rispetto alle regioni che presentano una vulnerabilità minore.
Crescono, di conseguenza, le migrazioni a causa della crisi climatica: secondo il rapporto “Groundswell” della World Bank, entro il 2050 si prevede che 216 milioni di persone provenienti da sei diverse regioni del mondo potrebbero essere costrette a spostarsi. Saranno i migranti forzati, gli eco-migranti, i nuovi gruppi sociali fragili con limitato accesso a servizi e risorse a pagare il prezzo più alto dell’impatto della crisi climatica, dovendo anche fare i conti con diritti spesso negati da parte dei Paesi di arrivo, come il diritto di asilo e di residenza. Intere famiglie e singole donne e uomini che rischiano di diventare facile bersaglio di attacchi prodotti da odio e razzismo se non si interverrà per contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti, e se non si attueranno adeguate politiche di accoglienza e coesione sociale multietnica. E’ ancora il rapporto “Groundswell” a evidenziare che una riduzione immediata e progressiva delle emissioni globali, in linea con l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici del 2015, ridurrebbe fino all’80% – circa 44 milioni di persone – la portata della migrazione climatica e dei conseguenti spostamenti di massa di intere popolazioni.
Sono dati che per l’ennesima volta confermano che sostenibilità e inclusione sono l’unica strada da percorrere. E che la giustizia climatica dev’essere una priorità delle agende politiche mondiali perché riguarda i diritti umani: il diritto di migrare ma anche il diritto di poter restare, il diritto a vivere una vita dignitosa così come sancito dalla nostra Costituzione e riconosciuto dai primi due articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo a fondamento della libertà, della giustizia e della pace.