A volte il silenzio vale più di mille parole. È il caso della nazionale #iraniana che ieri, con grande coraggio, in segno di protesta contro il regime degli Ayatollah ha scelto di non cantare l’inno prima del fischio di inizio della partita ai mondiali di calcio in #Qatar. Da settimane le autorità iraniane stanno soffocando nel sangue l’ondata di proteste scoppiata a Teheran per la morte della giovane Mahsa Amini che oggi sta assumendo i connotati di una rivoluzione a tutti gli effetti. Il capitano della squadra iraniana, il portoghese Carlo Queiroz, lo aveva anticipato annunciando: “Dobbiamo essere la voce del nostro popolo”, pur consapevole del fatto che ognuno di loro, tornato a casa, ne dovrà rispondere personalmente al regime.
E così i #mondiali di calcio più contestati e boicottati e meno sostenibili della storia stanno entrando nel vivo delle cronache anche non calcistiche. La protesta iraniana, infatti, non è la sola ad aver trovato spazio negli stadi di Doha. Anche i calciatori inglesi ieri hanno in qualche modo detto la loro inginocchiandosi sul terreno di gioco un attimo prima dell’inizio di Iran-Inghilterra.
Il gesto, nato agli Europei 2020-21 quando molti atleti lo utilizzarono per esprimere vicinanza al movimento Black Lives Matter, assume oggi un valore più ampio come denuncia della violazione dei diritti umani in Qatar.
C’è infatti un’altra gravissima vicenda che inquieta l’opinione pubblica di mezzo mondo: le migliaia di #morti fra gli operai che hanno lavorato in condizioni disumane nei cantieri degli impianti e delle infrastrutture per il mondiale plurimiliardario degli sceicchi. La totale assenza di diritti a tutela dei lavoratori — tutti immigrati provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka — ha sollevato un’ondata di proteste anche fuori dai campi da gioco.
Da settimane si moltiplicano le #critiche e le forme di #boicottaggio nei confronti della FIFA World Cup (la Federazione mondiale del calcio), rea di aver preso una decisione che fin da subito – era il dicembre del 2010 quando scelse il Qatar come sede dei mondiali di calcio del 2022 – sembrava riguardare poco lo sport e molto gli affari.
Dati certi non ce ne sono, ma Amnesty International parla di 6.500 operai morti tra il 2010 e il 2021. Secondo Human Rights Watch le autorità del Qatar non hanno indagato sulle cause della morte di migliaia di lavoratori migranti, e le leggi di quel Paese non prevedono alcuna forma di risarcimento per le famiglie delle vittime. Il ministro del lavoro, Ali bin Samikh al-Marri, ha detto che non esistono criteri per quantificare il dato, mentre il governo del Nepal ha calcolato 2100 morti dal 2010 solo tra i cittadini nepalesi emigrati in Qatar, tra arresti cardiaci, malori dovuti al caldo e altre cause.
Intanto si moltiplicano le forme di protesta, dai nastri gialli con la scritta ’scena del crimine’, striscioni sugli spalti di moltissime tifoserie in tutta Europa che invitano al boicottaggio o che riportano la frase ‘Fifa Tue’ (la Fifa uccide), oltre a decine di flash-mob e die-in durante i quali i manifestanti si accasciano per strada fingendosi morti. E c’è chi si rifiuta di trasmettere in televisione le partite e chi, come il gruppo apartitico Micha Nederland, in collaborazione con alcune associazioni per i diritti civili ha organizzato a Utrecht, nella chiesa di Domkerk stracolma di partecipanti, una messa per ricordare gli operai caduti durante i lavori.
Come se non bastasse il Qatar è anche un Paese che viola i diritti delle persone #lgbtqia e delle donne, motivo per cui alcune federazioni nazionali avevano annunciato l’esibizione di fasce da capitano con sopra un arcobaleno e la scritta ’One Love’, in solidarietà con la comunità LGBTQI+ in Qatar. Ebbene, la repressione della Fifa è stata immediata, agli otto team europei che volevano farlo ha intimato di evitare, pena sanzioni e squalifiche.
E mentre il presidente della Fifa Gianni Infantino, temendo l’ondata di polemiche ha chiesto di non mettere pressione sul Qatar e sui calciatori (“Lasciate che la gente si goda questa festa”) inviando una lettera alle 32 Federazioni in cui si legge “Pensiamo al calcio, non vi fate trascinare in battaglie ideologiche”, alcuni giocatori si stanno ancora interrogando sul da farsi, spinti dalla opinione pubblica del loro Paese o dalle proprie convinzioni personali, e consapevoli che il torneo di calcio più importane del mondo è anche un megafono potentissimo a cui affidare un messaggio di solidarietà nei confronti delle persone oppresse e di chi non ha voce.
A chi osa opporsi con coraggio al regime iraniano e alle direttive liberticide della Fifa va tutta la mia solidarietà. Forse non esserci in Qatar, anche se per un’eliminazione sul campo da gioco, stavolta è una buona cosa.