La recente alluvione in Emilia-Romagna ha evidenziato la fragilità idrogeologica del territorio regionale, reso ancora più vulnerabile dagli effetti del cambiamento climatico e dal consumo di suolo. Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che i fenomeni meteo estremi, sempre più frequenti, ci impongono di rivedere le politiche di gestione del territorio per favorirne la resilienza e non l’ulteriore infragilimento. Che senso ha, ad esempio, insistere con attività estrattive in zone di pregio naturalistico e paesaggistico? Mi riferisco al Parco della Vena del gesso Romagnola, insidiato dalle attività estrattive in corso da decenni nel Polo Unico regionale del gesso di Monte Tondo, in provincia di Ravenna.
👉🏽 Da mesi raccolgo e giro alla Giunta regionale – in forma di interrogazioni – le preoccupazioni espresse dalla Federazione Speleologica Regionale e dalle associazioni ambientaliste. L’ultima l’ho depositata oggi per chiedere quale sia la posizione della Regione sulla proposta di Piano Territoriale del Parco della vena del gesso Romagnola, con particolare riferimento all’assenza di una precisa indicazione temporale sulla cessazione dell’attività estrattiva nel polo di Monte Tondo.
👉🏽 La proposta del Piano territoriale è uno strumento molto importante per la gestione di questo ambiente naturale unico al mondo e candidato a diventare Patrimonio Mondiale dell’Unesco. La criticità ambientale rappresentata dalla presenza della cava all’interno della Vena del Gesso non viene negata dagli estensori del Piano che sottolineano che “i sistemi carsici gessosi alterati dall’attività di cava sono tra i maggiori non soltanto della Vena del Gesso, ma dell’intera Unione Europea”. Tuttavia, nell’elencare le diverse grotte (tutte candidate a Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco) “direttamente intercettate dall’attività di cava con pesanti ripercussioni sull’idrologia sotterranea e di superficie”, e di quelle “non direttamente intercettate ma che hanno comunque subito alterazioni dell’idrologia sotterranea”, l’Ente Parchi non prende posizione circa le azioni da intraprendere per tutelarle, e propone di inserire tutte le cavità in questione entro l’area B soggetta a tutela solo dopo che verranno interrotte le attività estrattive, e non viceversa.
️⚫ Guarda caso, l’indicazione di avvio della tutela solo dopo che saranno cessate le estrazioni recepisce una delle osservazioni al Piano presentate dalla multinazionale Saint Gobain, che altro non è che il soggetto che svolge l’attività estrattiva. Per gli speleologi la mancata indicazione di una precisa tempistica per la cessazione dell’attività estrattiva apre la strada all’ampliamento della cava con la conseguenza di aggravare l’impatto delle attività estrattive e di compromettere la candidatura a patrimonio UNESCO.
Inoltre, nel Piano territoriale lo studio commissionato e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna nel 2020 viene solo citato senza riportarne le conclusioni, tanto meno senza evidenziare lo “scenario B” di tale studio che prevedeva di contenere l’area di estrazione del gesso entro i confini del vigente PIAE e che invitava a considerare il nuovo periodo di attività concedibile (non superiore a dieci anni) come l’ultimo possibile. Tale scenario B era quello ritenuto condivisibile sia dalla Regione, sia dalla Federazione Speleologica dell’Emilia-Romagna e dalle associazioni ambientaliste. Anche la Provincia di Ravenna, nell’esprimersi a metà maggio sulla Proposta di Variante al PIAE, ha individuato nello scenario B “l’unico che, stante il ruolo pianificatorio della provincia e considerato l’attuale quadro normativo e di zonizzazione così come definito dalla Rete Natura 2000, può essere preso in considerazione, valutando le competenti ambientali, paesaggistiche e socio-economiche coinvolte”. Ora sarà tanto più interessante la risposta della Giunta regionale alla mia (settima) interrogazione.
👏🏼 La battaglia per il Parco della Vena del gesso Romagnola continua.