In questi giorni, a seguito della mancanza di neve in montagna, si è aperto un ampio dibattito sul turismo in Appennino, tra chi – come faccio io insieme alle associazioni ambientaliste – sostiene la necessità di diversificarlo e destagionalizzarlo oltre la dimensione del turismo dedicato agli sport invernali, sempre più penalizzato dai cambiamenti climatici che riducono le precipitazioni nevose; e chi, invece, vede la soluzione alla mancanza di neve nel disseminare le stazioni sciistiche di cannoni sparaneve high-tech. Una scelta ambientalmente sbagliata perché si tratta di impianti eccessivamente energivori e idroesigenti, in un’epoca contrassegnata da periodi prolungati di siccità e scarsità idrica.
Al contrario, occorre puntare sul turismo dolce dei cammini, dell’escursionismo, del cicloturismo, della scoperta dei nostri borghi ricchi di storia e dei luoghi naturali.
Da questo punto di vista, la Rete escursionistica regionale dell’Emilia-Romagna offre una straordinaria opportunità per portare in montagna, e non solo, turisti alla ricerca di aree forestali tutelate e di biodiversità, di cui l’Appennino è il territorio più ricco in regione. Per questo, oltre a far conoscere la rete, è necessario anche mettere risorse per la manutenzione dei sentieri e per regolamentare la presenza sui medesimi tracciati escursionistici di fruitori tra loro molto diversi, quali sono coloro che li percorrono a piedi, o in bicicletta, o in mountain-bike e bici elettriche, a cavallo, o con mezzi motorizzati. Un problema affrontato dal Decreto ministeriale del 28 ottobre 2021 che vieta al transito ordinario motorizzato la percorrenza di tracciati forestale e destinati ad attività silvo-pastorale.
Per mettere a fuoco queste opportunità e affrontare le criticità, oggi ho depositato un’interrogazione per chiedere alla Giunta regionale di fare il punto sull’attuazione della Legge regionale del 2013 sulla rete escursionistica.
Come evidenziato nella lettera inviata alle amministrazioni locali da un folto gruppo di associazioni ambientaliste di Reggio Emilia (dalla quale ha tratto spunto la mia interrogazione), la convivenza di diverse modalità di fruizione della Rete escursionistica comporta problemi di sicurezza, di tutela ambientale, di manutenzione e di incompatibilità. In particolare, le escursioni a piedi risultano spesso fortemente penalizzate dalla compresenza di mezzi motorizzati; anche la presenza sempre maggiore delle mountain-bike e delle biciclette a pedalata assistita può creare problemi di convivenza al pari dei mezzi motorizzati. Non solo: la presenza di mezzi motorizzati su sentieri, tratturi e piste forestali aumenta il rischio di incendi, di per sé già fortemente incrementato negli ultimi anni a causa della siccità. Inoltre, l’azione meccanica dei veicoli compromette la qualità e la tenuta del suolo forestale e delle praterie, un problema che si aggiunge al grave disturbo arrecato alla fauna selvatica sia per il rumore sia per l’emissione di gas di scarico.
Il nostro Appennino è ricco di bellezze e opportunità, e la sfida che il presente ci sta mettendo di fronte, come politici e come cittadini è trovare nuovi modi, più sostenibili e dolci, di stare nella natura, sia per trascorrere il tempo libero sia per promuovere lo sviluppo economico di queste aree.
Invece di investire ingenti risorse pubbliche nella rincorsa tecnologica agli impianti sparaneve high-tech, investiamole nella diversificazione e nella destagionalizzazione del turismo, in un trasporto pubblico che renda l’Appennino accessibile, nella banda larga, in servizi: la montagna va resa attrattiva non solo per i turisti, ma anche per chi ci abita già e per chi decide di abbandonare le città inquinate e sempre più torride a causa del cambiamento climatico.