Più di sessant’anni fa, precisamente il 18 aprile 1951, con il Trattato di Parigi vedeva la luce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), una delle pietre miliari che hanno scandito il cammino della creazione dell’Unione europea. Con quel Trattato, sei paesi – Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Repubblica federale tedesca (la Germania ovest) – decisero di introdurre, all’interno della CECA, la libera circolazione del carbone e dell’acciaio, profilando un futuro di cooperazione dopo le sanguinose divisioni che li avevano contrapposti nel secondo conflitto mondiale.
Sei anni anno dopo, con i Trattati di Roma che battezzavano l’istituzione della Comunità economica europea, nasceva la Comunità europea dell’atomo (EURATOM), finalizzata a mettere in comune i programmi di ricerca per gli usi non bellici del nuovo auspicato eldorado dell’energia nucleare.
Oggi il contesto politico ed economico europeo è palesemente cambiato: l’Unione europea di Stati membri ne conta ventotto; il nucleare, dopo gli incidenti di Chernobyl e Fukushima, e con il problema tuttora insoluto del deposito finale delle scorie nucleari, ha perso attrattività, al punto che la Germania ha approvato un piano nazionale di fuoriuscita dal nucleare entro il 202; last but not least, di fronte ai cambiamenti climatici in atto l’odierna sfida energetica riguarda la transizione verso una società e un sistema energetico low-carbon, tendenzialmente zero-carbon, basato sull’uso delle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica. Con l’obiettivo non secondario che rinnovabili e uso razionale dell’energia, affrancando l’Europa dai pesanti costi dell’import delle fonti primarie di energia, svincolino risorse finanziarie da utilizzare nel rilancio dell’economia e nella creazione di nuova occupazione, oltre a costituire essi stessi un efficace settore d’investimenti anticiclico.
In questo contesto di perdurante crisi economica e della sfida energetica e climatica, il gruppo I Verdi/ALE all’europarlamento ha presentato, a metà gennaio, la proposta di creazione di un’Unione Energetica Verdeal fine di promuovere nei Paesi membri della Ue la diffusione delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Una proposta suggestiva, associata ad una innovativa agenda di disinvestimenti e investimenti a sostegno della transizione post-fossile. Una prospettiva che interpreta in chiave all-green l’idea iniziale di Unione dell’energia del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, e che amplia il disegno già visionario della creazione di una Comunità europea per un’Europa rinnovabile al 100% (erene – European community for renewable energy) lanciato per la prima nel 2008 dai verdi tedeschi al Parlamento europeo e dalla Fondazione Heinrich Boell, che ne ha approfondito lo studio.
L’orizzonte innovativo insito nella proposta dei Verdi non ha trovato impreparata la Commissione a guida Junker che, con la comunicazione (COM(2015) 80 finalinviata il 25 febbraio scorso al Parlamento europeo e al Consiglio, ha tracciato i contorni ideali di “un’Unione dell’energia resiliente, articolata intorno a una politica ambiziosa per il clima, che possa consentire a famiglie ed imprese dei paesi della Ue di disporre di energia sicura, sostenibile e competitiva a prezzi accessibili”.
Il disegno di un’ Unione energetica europea avanzato dalla Commissione va nella direzione di un’autentica svolta o, al contrario, si tratta di una proposta ambigua? La discussione è aperta, come analizzo nell’articolo allegato uscito sul numero 31 di micron, la rivista dell’Arpa dell’Umbria, uscito a ottobre 2015. L’articolo è corredato da una scheda sulla dipendenza energetica della Ue e da un’intervista a Gianluigi Angelantoni, vice Presidente di Kyoto Club e A.D. di Angelantoni Industrie Srl, l’industria umbra leader nel mondo nel settore del solare termodinamico.