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 L’impatto climatico del gas naturale è circa 80 volte superiore a quello dell’anidride carbonica; il suo prezzo in 10 mesi è passato da 20 a 180 €/MWh, per stabilizzarsi ora intorno ai 70; per il 94,5% il metano proviene dall’estero, mentre in Italia negli ultimi 10 anni l’estrazione si è più che dimezzata per scendere agli odierni 3,4 miliardi di metri cubi.
Nonostante questo, la politica e l’industria italiana – in prima linea il colosso oil&gas di Stato Eni – sono favorevoli ad includerlo nella tassonomia verde europea come fonte di energia ambientalmente sostenibile, e a sostenerne l’impiego tramite la realizzazione di nuovi gasdotti e l’aumento dell’estrazione di gas nazionale. Trascurando – volontariamente o involontariamente – nel dibattito pubblico sul caro energia che anche solo per raddoppiare la produzione nazionale (che copre il 4% dei consumi) ci vuole un anno di tempo, e che il gas di casa nostra sarebbe comunque vincolato ai prezzi di mercato. E’ scontato che una quantità residua di gas naturale ci accompagnerà nella fase di transizione energetica verso la decarbonizzazione. Ma come residuo, appunto, e non come ingrediente principale. Sennò la transizione non la finiremo mai!
𝗘 𝗻𝗲𝗹 𝗿𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗱’𝗘𝘂𝗿𝗼𝗽𝗮 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝘀𝘂𝗰𝗰𝗲𝗱𝗲?
La Norvegia, il paese europeo leader nella produzione di gas, non ha mai neanche cominciato a usarlo in casa propria: la produzione elettrica è quasi tutta da fonte idroelettrica, mentre il teleriscaldamento alimentato dalla combustione di rifiuti e il riscaldamento alimentato dall’elettricità coprono il 94% del riscaldamento domestico.
La Gran Bretagna, il secondo colosso oli&gas, per diminuire la quota di metano nella produzione elettrica sta programmando non solo la costruzione di nuovi parchi eolici offshore (nel 2022 ne installeranno per ulteriori 3 GW di potenza), ma intende anche anticipare al 2023 il divieto dell’utilizzo di caldaie a gas nelle nuove case, per poi proibirle del tutto a partire dal 2035.
Infine, anche i Paesi Bassi, la terza “potenza” europea del gas, stanno pianificando l’addio al gas naturale, che oggi alimenta la produzione del 58% dell’elettricità olandese e il 92% degli impianti di riscaldamento degli edifici. A convincere il governo olandese a bandire, entro il 2050, l’impiego di questa fonte energetica, a partire dall’uso domestico, sono stati soprattutto i danni che l’estrazione dai giacimenti costieri ha provocato alle abitazioni. Già dal 2018 si era deciso che le nuove costruzioni non dovevano più essere allacciate alla rete del metano. Un provvedimento che, secondo l’associazione delle aziende di fornitura energetica dei Paesi Bassi, Netbeheer Nederland, ha funzionato egregiamente: nel 2021 solo il 9% delle nuove abitazioni si è allacciato al gas, mentre in tutte le altre riscaldamento e cucine saranno alimentati da sistemi elettrici. Netbeheer Nederland segnala inoltre che sta rapidamente aumentando il numero di famiglie che chiedono di staccarsi dalla rete del gas metano per passare all’alimentazione elettrica. Infine, mentre in Italia snobbiamo la risorsa geotermica, si stima che nel 2030 in Olanda la geotermia a bassa entalpia fornirà il 7% del riscaldamento di abitazioni, percentuale che entro il 2050 salirà al 35%.
Cosa aspetta il governo Draghi a orientare le proprie politiche energetiche in linea con gli esempi più avanzati dell’Europa? Cosa aspetta a imporre a Eni di darsi gli obiettivi ambiziosi di transizione energetica che si è data Enel (210 miliardi di euro di investimenti nelle rinnovabili al 2030, e azzeramento delle emissioni climalteranti al 2040)?

Silvia Zamboni

Giornalista – Ambiente e Sostenibilità, Energia e Cambiamenti Climatici, Economia Circolare, Green Economy, Sharing e Digital Economy, Mobilità Sostenibile, Turismo Sostenibile, Agricoltura e Manifattura Biologica, Politiche Ambientali Europee.